PROSTATA: LA CURA INIZIA DALLA PREVENZIONE

Local copy of content translated from Italiano (IT)

Franco Lugnani, urologo e presidente della Società Internazionale di Criochirurgia, espone gli ultimi ritrovati scientifici in campo chirurgico per la cura di tumori e adenomatosi prostatiche. E lancia un grido di allarme dinanzi a un atteggiamento culturale sempre meno attento alla prevenzione

Curare patologie tumorali in stato avanzato senza dover attuare alcun intervento chirurgico: una frontiera fino a pochi anni fa ritenuta quasi irraggiungibile se non addirittura utopica. Ma lo sviluppo medico-scientifico ancora una volta ha dimostrato tutta la sua potenzialità di sviluppo. In particolare, in campo urologico, le novità sono rilevanti, specialmente per quello che riguarda la qualità della vita dei pazienti affetti da gravi patologie. Parla nuovamente il dottor Franco Lugnani, noto urologo e presidente della Società Internazionale di Criochirurgia. Già promotore e massimo esperto della tecnica crioablativa, che permette la distruzione di tessuti neoplastici mediante temperature ultra basse, Lugnani spiega come, grazie al laser, si è arrivati a una rivoluzione talmente importante da poterla definire, secondo le parole del medico, "copernicana".

Dottor Lugnani, le immagini che ha fornito cosa mostrano?

«Siamo in sala operatoria. Si vedono macchine, ma nessuna pancia aperta e niente sangue. I pazienti in questione, inoltre, sono affetti da gravi forme tumorali, non operabili. In pratica si assiste all'applicazione di tecniche mini-invasive allo scopo di operare patologie una volta trattabili solamente tramite interventi pesantissimi». Quindi più tecniche e meno chirurgia? «Si tratta di terapie ad alta tecnologia aventi lo scopo di curare patologie maggiori- Mi riferisco anche a pazienti la cui condizione non è più guaribile. Ma non per questo non bisogna impegnarsi per farli vivere meglio e più a lungo».

Quando parla di "patologie maggiori" in campo urologico a cosà fa riferimento?

«A patologie prostatiche, le quali possono essere divise in due gruppi. Il primo è di carattere tumorale, il secondo benigno. Per ciò che concerne la cura dei tumori, oggi possiamo avvalerci di varie tecniche, tra cui quella criochirurgica, di cui mi occupo in prima persona. Quando, invece, non vi è una patologia tumorale ma una adenomatosi prostatica, possiamo rivolgerci tradizionalmente a tre ipotesi: le medicine, l'intervento a pancia aperta oppure la resezione endoscopica transorettale, che è il gold standard della terapia per la adenomatosi». Le ipotesi, però, si sono allargate. «La grande novità è costituita dai laser. In particolare, il più efficace è il "green light", che emettendo un fascio di luce verde ad altissima potenza è affine ai globuli rossi. In parole povere il verde seleziona i globuli colpendo soltanto quelli di colore rosso, bruciandoli e surriscaldando i tessuti che, in questo modo, si va- porizzano. Ciò rappresenta un grandissimo passo avanti perché utilizzando il green light laser non vi è praticamente sanguinamento. Di conseguenza si evitano la lunga degenza, un lungo utilizzo del catetere e i rischi operatori. Il paziente può ritornare a casa l'indomani se non il giorno stesso in cui ha subito il trattamento». '

Cosa cambia, soprattutto, rispetto alle tecniche più tradizionali di intervento?

«A mio parere siamo di fronte a una vera rivoluzione copernicana. Una volta si considerava l'efficacia del trattamento dell'adenomatosi prostatica proporzionale alla quantità di tessuto rimosso. Con il laser, invece, si cambia completamente approccio. lnnanzitutto è possibile creare un canale all'interno della prostata ampio quanto basta per fare in modo che il paziente stia bene e urinì senza problemi. In secondo luogo non e` più necessaria la rimozione del tessuto, che comporterebbe rischi più pesanti, in quanto il  green light laser permette la vaporizzazione fotodinamica dei tessuti ptostatici».

Una rivoluzione importante, quindi, come quella da lei già ampiamente approfondita relativa alle tecniche crioablatîve.

«Ci tengo a sottolineare l'importanza dell'utilizzo di tecniche mini invasive. fondamentale perché dobbiamo orientare gli sviluppi della ricerca medica verso trattamenti che rispettino la qualità della vita dei pazienti. L'esperienza che sto vivendo con le tecniche criochirurgiche è in tal senso positiva. Finalmente queste tecniche, non più sperimentali ma già largamente riconosciute, sono utilizzate nel mondo per la cura di tumori come quello della prostata, del rene o del polmone. Addiritttua i ricercatori della John Hopkins hanno affermato che queste tecniche sono il gold standard per la terapia dei tumori renali grandi fino a 5 o 6 centimetri.

Tutti i pazienti possono rivolgersi alle tecniche crioablative o laser?

«Non tutti, purtroppo ci sono alcuni soggetti su cui non è possibile applicarle. Va detto, però, che nella maggior parte dei casi tali tecniche funzionano benissimo, al pari dell'intervento chirurgico. Fa quasi ef-

«LA GRANDE NOVITÀ E COSTITUITA DAI LASER. IN PARTICOLARE, IL PIÙ EFFICACE E IL "GREEN L|GHT", CHE EMETTENDO UN FASCIO DI LUCE VERDE AD ALTISSIMA POTENZA E AFFINE AI GLOBULI ROSSI. IN PAROLE POVERE IL VERDE SELEZIONA l GLOBULI COLPENDO SOLTANTO QUELLI DI COLORE ROSSO, BRUCIANDOLI E SURRISCALDANDO I TESSUTI CHE, IN OUESTO MODO, SI VAPORIZZANO»

I VANTAGGI DEL LASER VERDE

La fotovaporizzazione laser della prostata con il green Iight laser rappresenta l'ultima e maggiormente utilizzata tecnologia innovativa nel campo dei trattamenti della adenomatosi prostatica. Oltre 400- mila pazienti sono già stati trattati in tutto il mondo con questa tecnica. Tra tutti i laser in uso rappresenta un caso particolare in quanto il fascio di luce laser viene filtrato da un cristallo che seleziona la frequenza di 432 nanometri che corrisponde al colore verde. Tale fascio di luce ad alta potenza viene veicolato lungo una fibra ottica speciale dotata alla sua estremità di uno specchietto a 45 gradi. In tal modo il fascio esce fuori dalla fibra ad angolo retto. La fibra ottica stessa viene inserita mediante un cistoscopio speciale dentro il canale urinario che attraversa la prostata (uretra prostatica) e quindi attivata dal chirurgo. I tessuti sottoposti al laser si vaporizzano in gas realizzando cosi una vera e pro-pria piallatura o alesatura laser del canale prostatico. L'affinità del verde con il rosso dei globuli rossi assicura inoltre un trattamento a basso sanguinamento. ll paziente é dimesso , il giomo dopo, generalmente senza catetere.

«CI TENGO A SOTTOLINEARE UIMPORTANZA DELL' UTILIZZO DI TECNICHE MINI INVASIVE. FONDAMENTALE PERCHÉ DOBBIAMO ORIENTARE GLI SVILUPPI DELLA RICERCA MEDICA VERSO TRATTAMENTI CHE RISPETIINO LA QUALITÀ DELLA VITA *DEI PAZIENTI. L'ESPERIENZA CHE STO VIVENDO CON LE TECNICHE CRIOCHIRURGICHE  E` IN TAL SENSO POSITIVA»

fetto, per noi medici, scoprire come una tecnica radiologica possa rivelarsi equivalente a quella chirurgica, a pancia aperta. Oggi l'utilizzo della criochirurgia è inoltre finalizzato a lenire la sofierenza nei pazienti che hanno tumori metastatizzati nelle ossa. Questi pazienti sono generalmente in stadi avanzati della malattia e soffrono orrendamente per le metastasi ossee. La loro qualità di vita è terribile. Poter aiutare queste persone con una tecnica mini invasiva e ve- dere il paziente che già dal giorno seguente sta molto meglio è per me una grande soddisfazione».

La comunità medica italiana come ha reagito dinanzi a queste nuove tecniche?

«Dopo un inizio molto prudente e ancorato alle tradizioni, sono orgoglioso di poter affermare che attualmente importanti centri di assoluto rilievo e riferimento nazionale come l'Istituto dei tumori di Milano, quello di Roma e quello della Basilicata, utilizzano la criochìrurgia per la cura di alcune patologie, ovviamente non per tutte. Ma un po' per volta il discorso si sta allargando. Certamente ci vuole tempo».

Parlando invece di prevenzione, quanto può incidere in ambito urologia?

«È essenziale soprattutto in campo prostatico. Senza la prevenzione rischiamo di trovarci costantemente di fronte a condizioni patologiche talmente avanzate in cui, purtroppo, non si può fare granché. E la prevenzione non deve riguardare solo i tumori. Deve rivolgersi anche alfinsotgere delradenomatosì prostatica. Se si aspetta ad intervenire rischiamo di compromettere eccessivamente la vescica, ottenendo risultati peggiori rispetto a quelli che si sarebbero potuti raggiungere in seguito a visite regolari presso il proprio medico urologo. Il dramma però è un altro».

A cosa si riferisce?

«Essendo la prevenzione, talvolta, difficile e costosa, si sta facendo strada un atteggiamento pericoloso che porta i pazienti a pensare che forse "sarebbe meglio non farla se poi i risultati non sono così eclatanti. . .". Una forma mentis che si sta diffondendo a livello internazionale specialmente per la cura della prostata. i Questo sta delineando una situazione paradossale in cui non riusciamo a curare in tempoi pazienti che ne hanno bisogno e rischiamo di curare eccessivamente altri che in realtà non necessitano di terapie invasive. Una contraddizione drammatica, spaventosa, che si sta manifestando in una concezione artualistica e assicurativa della medicina, in cui le risorse economiche sono male indirizzate, a scapito del risultato finale, vale a dire la cura del paziente».

Un problema prima di tutto culturale?

«La società odierna di fronde un'idea di uomo inteso come una sorta di "macchina fisica". Ma questo è sbagliato, soprattutto in campo medico. Se consideriamo l'uomo come un essere spirituale le cose cambiano. Attenzione, non vorrei essere frainteso. Pur avendo una concezione in parte olistica della scienza medica, sostengo l'importanza delle medicine e della tecnologia. Ma, alla fine, quando guardi il paziente negli occhi e gli stringi la mano, tutto questo non ha nulla a che vedere con le macchine. La qualità del rapporto tra medico e paziente è secondo me fondamentale ai fini di una guarigione più tempestiva e di una qualità della vita migliore per chi vive uno stato di malattia. Invece, una visione meccanicìstica delle cure, allontana l'utenza dai medici e, conseguentemente, non agevola la promozione di una cultura dedita alla prevenzione».