Tumori, la terapia del freddo

Local copy of content translated from Italiano (IT)

La nuova frontiera della criochirurgia le cellule malate congelate e distrutte

Operazione in diretta. Dieci ore d'intervento con l'equipe dell'Umberto I

Ad Ancona esiste l'unico centro d'Italia dove si esegue questo metodo rivoluzionario per trattare la malattia in stadio avanzato

ANCONA — Ogni anno in Italia muoiono oltre 10 mila persone per tumori primitivi o secondari del fegato. Sinora l'unico trattamento in grado di offrire una sopravvivenza a lungo termine è la resezione chirurgica, tuttavia non sempre effettuabile. In associazione alla terapia chirurgica e più frequentemente nei casi che non possono essere operati sono state attuate altre terapie quali la chemioterapia o la chemioembolizzazione. Ora accanto a queste metodiche sta assumendo un ruolo rilevante la criochirurgia, sperimentata negli Stati Uniti e praticata in Europa in tre soli centri. L'unico in Italia è all'ospedale Umberto I di Ancona, dove ieri l'equipe del professor Emanuele Lezoche, direttore della cattedra di patologia chirurgica, ha effettuato un lungo e delicatissimo intervento, durato dieci ore, su un paziente con 16 lesioni tumorali al fegato.

Ad Ancona l’unico centro

ANCONA — La criochirurgía è una tecnica nata negli tati Uniti e utilizzata oltre che nel campo epatico anche in quello urologico e ginecologico. In Europa esistono solo tre centri dotati della sofistica strumentazione, uno in Scozia, l'altro in Germania e il terzo ad Ancona, nel dipartimento di Patologia chirurgica diretto dal professor Emanuele Lezoche. In realtà l'apparecchiatura, l'unica in Italia, è stata fornita dal dottor Franco Lugnani, specialista in urologia, che a Trieste ha già applicato la criochirurgia sui tumori alla prostata. Con lui la Usi di Ancona ha attivato un rapporto di convenzione, Cosi il dottor Lugnani partecipa ad ogni seduta di criochirurgia sui tumori epatici effettuata dal professor Lezoche e dalla sua equipe altamente specializ-zata. Un rapporto di consulenza e convenzionamento avviato nel febbraio scorso e che sta producendo rapidamente gli effetti sperati. Finora sono stati 12 gli interventi eseguiti, 11 al fegato e uno al rene. Per alcuni è stato possibile procedere per via laparoscopica, ovvero con un tecnica meno invasiva che si avvale di videocamera e di piccole incisioni, sulla parte da trattare, per la strumentazione chirurgica.

Una malattìa da "congelare"

Criochirurgia, ultima frontiera nella lottata tumori

ANCONA — Ogni anno in Italia muoiono oltre 10 mila persone per tumori primitivi o secondari del fegato. Cifre fornite dalrlstat ma che per gli esperti risultano sottostimate, considerato che ogni anno 15 mila pazienti risultano affetti da tu-mori al colon-retto e che in circa il 25 per cento di questi al momento della diagnosi sono presenti metastasi al fegato, mentre nel 40 per cento esse si presentano successivamente. Sinora l'unico trattamento in grado di offrire una sopravvivenza a lungo termine è la resezione chirurgica, tuttavia non sempre effettuabile. In associazione alla terapia chirurgica e più frequentemente nei casi che non possono essere operati sono state attuate altre terapie quali la chemioterpia o la che-miombolizzazione. Ora accanto a queste metodiche sta assumendo un ruolo rilevante la criochirurgia, sperimentata negli Stati Uniti e praticata in Europa in tre soli centri, uno dei quali è all'ospedale Umberto I di Ancona.

Si tratta di una metodica che ha lo scopo di aggredire il tumore direttamente all'interno dell'organo da cui ha avuto origine,o che è stato colonizzato, e di provocarne la distruzione. Essa si basa sul princi-pio del congelamento e della devitalizzazione in situ del tessuto neoplastico allo scopo di provocarne la distruzione. Il tutto possibile attraverso l'utilizzo di una strumentazione estremamente sofisticata, il cui sviluppo deriva direttamente dalla ricerca tecnologica spaziale. Nell'ambito del trattamento dei tumori del fegato sia primitivi che secondari, la criochirurgia si sta ritagliando un ruòlo sempre più ampio. Il vantaggio di tale metodica è sostanzialmente quello di rispettare il tessuto sano attorno al tumore, cosa questa che non avviene se non in misura minore nelle resezioni epatiche, garantendo comuque sia la cessazione locale della malattia che la certezza di aver trattato tutta la massa tumorale. Ciò è possibile grazie alla disponibilità dell'ecografia intraoperatoria che consente ai chirurghi di vedere direttamente la massa da trattare nelle sue diverse dimensioni, di puntarla con un ago guida e successivamente con le sonde da congelamento (cryoprebes) le quali, penetrando al centro della lesione, consentono di ottere in pochi secondi temperature bassissime di 200 gradi sotto lo zero, formando una palla di ghiaccio che ingloba il tessuto tumorale e una piccola porzione di tessuto sano circostante. Durante l'intervento, il processo di congelamento viene monitorizzato in tempo reale mediante appunto un'ecografia intraoperatoria. Il problema delle dimensioni delle masse trattabili viene risolto dalla possibilità di utilizzare più sonde per un'unica lesione di grandi dimensioni, permettendo così la fusione delle palle di ghiaccio e il trattamento di grandi quantità di tessuto tumorale. Al contrario si possono utilizzare una o poche sonde per colpire metastasi multiple molto ravvicinate tra loro. Dopo aver trattato in tal modo una o più lesioni contemporaneamente, si può essere sicuri della morte cellulare e quindi della devitalizzazione del tumore. Le neoplasie congelate vengono poi seguite nella loro evoluzione attraverso la risonanza magnetica ogni mese per i primi tre mesi e successivamente con controlli trimestrali. Naturalmente nessun specialista è in grado di esclùdere che vi possa essere una ripresa della malattia a distanza di tempo dal trattamento criochirurgico, ma l'intervento può essere ripetuto anche fino a cinque volte. Va anche aggiunto che questa metodica può essere eseguita oltre che contestualmente alla chirurgia tradizionale, anche con tecniche mini invasive, utilizzando l'approccio per via laparascopica che può essere però effettuato in un numero limitato di casi, ovvero in presenza di un bassissimo numero di lesioni tumorali.

Cifre impressionanti Secondo i dati Istat ogni anno in Italia muoiono oltre 10 mila persone colpite da cancro al fegato

Massima cautela nelTultimafase dell'operazione

«E` un intervento delicato soprattutto per l'anestesista»

ANCONA — Un lavoro lungo ed estremamente delicato quello degli anestesisti negli interventi di criochirurgia. Questo perché al normale monitoraggio va aggiunta una preparazione del paziente decisamente più accurata, che richiede massima attenzione nella fase di scongelamento delle parti "raffreddate" a 200 gradi sotto lo zero.

Siamo di fronte» spiega Vito Ciracò, medico anestesista in ervizio al reparto di rianimazione dell'ospedale Umberto I a un tipo di chirurgia completamente diversa da quella tradizionale, che ha bisogno di un monitoraggio elevatissimo. Il paziente subisce nel corso dell intervento un raf-freddamento enorme per cui è necessario monitorare la temperatura corporea centrale. Inoltre va incannulata l'arteria centrale e vanno somministrati al paziente farmaci particolari. Siamo oltretuttto in in presenza, per la criochirurgia effettuata a torace aperto, di ìnterventi molto lunghi che richiedono anestesie pesanti a volte, come negli ultimi due casi tratttati, anche di dieci ore. Naturalmente questo non favorisce il recupero immediato del paziente come invece accade nel trattamento laparoscopico dove si effettuano piccolissime incisioni senza bisogno di aprire il torace alla ricerca di tutte le metastasi presenti nel fegato». Dunque un livello massimo di attenzione viene riservata dai medici anestesisti a questo tipo di intervento. Non a caso sono presenti in due in sala operatoria per tutta la durata dell'intervento. Ma la situazione più a rischio, a parte la possibile presenza di problemi di insufficienza cardiaca che possono comunque capitare in ogni altro più semplice caso, si presenta a intervento quasi ultimato. Durante cioè il processo di scongelamento delle parti raffreddate. Infatti a quel punto possono avvenire sanguinamenti im-provvisi. Questo perché il fegato sottoposto a trattamento di necrosi, non risce ad assolvere al suo compito, che è quello di provvedere ai fattori di coagulazione. Fotoservizio di Moreno Boria Un effetto che i medici dicono comunque calcolato e per questo tenuto sotto controllo, si spiega così la presenza per tutto il periodo dell'intervento di due medici anestesisti. Generalmente al termine di questi lunghi interventi chirurgici, in cui e` stato necessario sottoporre il paziente a lunghe ore di anestesia, si opta per un risveglio graduale, con l'intubazione eliminata solo dopo alcune ore dalla fine dell'operazione.

Dalla diagnosi precoce il successo delle terapie

Molti i casi in cui è diffìcile intervenire

ANCONA ¡— Le liste di attesa sono piuttosto lunghe. A bussare alla porta del professor Emanuele Lezoche, direttore della Cattedra di Patologia chirurgica dell'università di Ancona, sono in tanti. Ma a volte l'attesa è lunga, arrivando anche a toccare la soglia dei sei otto mesi a causa della scarsa disponibilità delle sale operatorie. Da qualche settimane cominciano ad arrivare da ogni parte d'Italia, anche molte richieste di interventi di criochirurgia. Ma non tutte possono trovare risposta. In molti casi infatti un intervento di criochirugia o anche di chirurgia tradizionale, sarebbe ormai inutile, considerato lo stadio di avanzamento della malattia. Così si torna a puntare il dito sulla necessità di una diagnosi precoce. Sono ancora molte le persone, confermano i medici dell'equipe del professor Lezoche, ad arrivare in ospedale quando ormai si e` in presenza di metastasi. A quel punto poche sono le soluzioni in grado di garantire l'allungamento della sopravvivenza. Insomma esiste, al di la dei problemi strutturali, una selezione dei pazienti da sottoporre a intervento, basata esclusivamente dalle condizioni cliniche. Una selezione che avviene a volte anche quando il paziente ha già varcato la porta della sala chirurgica. Può accadere, infatti, e anche con una certa frequenza, che la diagnostica per immagini, in particolare la Tomografìa assiale compiuterizzata, non riesca a fotografare la realtà così come invece appare poi, una volta iniziato il lavoro con il bisturi, attraverso l'ecografia intraoperatoria. Proprio questo esame a intervento avviato può far emergere un numero maggiore di metastasi, tali da sconsigliare di andare fino in fondo. Insomma sia la Tac che la risonanza magnetica possono presentare una sottostimazione dell'estensione del tumore, mentre l'ecografo intraoperatorio garantisce una capacità investigativa decisamente piu` attendibile.

Un'equipe molto affiatata

ANCONA — Calore, amicizia, stima reciproca. Questo il collante di una equipe altamente specializzata in una tecnica che al momento rappresenta l'ultima frontiera nella lotta contro i tumori epatici. A guidarla è il professor Emanuele Lezoche, direttore della cattedra di Patologia chirurgica dell'università. Con lui ieri in sala operatoria l'assistente Alessandro Paganini, l'associato Francesco Feliciotti e gli specializzandi Andrea Tamburini e Mauro Muti. A preparare il paziente per l'intervento e ad assisterlo sino alla conclusione, i due medici anestesisti del reparto rianimazione dell'ospedale, Nicola Venditti e Vito Ciracò. Presente in sala anche il dottor Franco Lugnani, specialista in urologia, con il quale la Usi e il dipartimento di Patologia hanno sottoscritto una convenzione. E' lui, infatti, il proprietario della sosfisticata strumentazione per la criochirurgia, ora messa disposizione dell'ospedale anconentano insieme alla sua consulenza professionale. E naturalmente in sala operatoria si sono avvicendati infermieri e ferristi, tutti ormai preparati ad interventi del genere. Dell'equipe del professor Lezoche fanno parte inoltre i medici Carlo Mariotti, Giovanni Gregorini, Mario Guerrieri, Marco Di Emiddio, e gli specializzandi Roberto Compagnucci e Pamela Zenobi. 

Dieci ore in sala operatoria

Per il paziente questa terapia rappresenta la grande speranza

ANCONA — Una notte trascorsa insonne nell'attesa e nel timore di un intervento alla cui riuscita legare le proprie speranze di vita. Poi il momento fatidico è arrivato. L'uomo, 59 anni, proveniente da Vasto, in Abruzzo, si è rivolto all'equipe del professor Lezoche, dopo che una Tac di controllo nell'aprile scorso aveva evidenziato la presenza di metastasi epatiche multiple non suscettibili di resezione chirurgica. Così l'unica via d'uscita e apparsa la criochirurgia. Alle 8 il paziente è stato portato in sala operatoria. Li ad attenderlo due medici anestesisti dell'Umberto I. Da quel momento è partita la prima fase, quella di preparazione al lavoro successivo dei chirurghi. Un procedimento lungo e delicato, chiuso solo alle 1O. Una staffetta, alla quale si sono poi succeduti i medici dell'equipe dei professor Lezoche. Una lunghissima fase preoperatoria la loro per verificare, una volta aperta con i bisturi prima una parte e poi l'altra del torace, l'estensione e il numero esatto delle lesioni. Il paziente, infatti, era entrato in sala operatoria con una Tac che rivelava la presenza di circa sei al massimo sette metastasi. In realtà già dai primi contatti manuali con il fegato, i chirurghi hanno capito che il quadro era molto più preoccupante. Quanto lo ha confermato l'ecografo intraoperatorio. Così sono state spedite in laboratorio le prime resezioni, per capire quanto in profondità e quanto estesa fosse la massa tumorale. Alle 12.30 l'equipe ha deciso di andare avanti con l'intervento scegliendo come modalità quella di resecare le parti tumorali più piccole e superficiali, lasciando poi alla criochirurgia il compito di congelare e distruggere le cellule tumorali più grandi e nascoste in punti difficilmente raggiungibili dal bisturi. Sette sono state le metastasi asportate dal fegato del paziente dal bisturi del professor Lezoche. Alle 14 è iniziato invece il trattamento criochirurgico. Due diversi cicli di congelamento e scongelamento alternati della durata di circa 45 minuti, eseguito con l'assistenza del dottor Franco Lugnani, sono stati eseguiti su tre diverse masse tumorali che presentavano complessivamente nove metastasi. Le lesioni sono state puntate con un' agoguida. A quel punto si è proceduto al posizionamento della cryosonda al centro delle lesioni, dando inizio al processo di congelamento. Una fase questa completata intorno alle 17.30. A quel punto sono state asportate le sonde e l'equipe medica ha proceduto all'emostasi della cavità residua, per poi suturare la parete toracica. Alle 18.30, l'intervento perfettamente riuscito, si è concluso. Il paziente ancora intubato è stato portato in rianimazione, dove resterà dalle 36 alle 48 ore.

Nuovo metodo e tempi di sopravvivenza

E l'Sos arriva da ogni parte d'Italia

«Ma in molti casi non si può far nulla»

ANCONA — L'Sos arriva da ogni parte d'Italia. In questi giorni alla patologia chirurgica sono tante le richieste di aiuto. Ma in molti casi è impossibile intervenire poiché si e in presenza di tumori in fase avanzata. «C'è bisogno di meno rassegnazione» dice il professor Emanuele Lezoche «e di un maggiore rioconoscimento della propria dignità di persona. In questi giorni sono approdati da noi casi disperati. Una giovane mamma con un tumore al pancreas, asintomatico in fase iniziale, che ora ha già invaso l'utero e nei confronti del quale poco o nulla possiamo fare. E poi non smetteremo mai di ricordare a tutti che la cosa principale è quella della prevenzione attraverso la quale, in caso di insorgenza di malattia, si può arrivare a un diagnosi precoce e dunque anche a dare ottime chance di vita ai malati. La prevenzione è un problema culturale, non economico. Tanto che scarseggia ovunque in ogni classe sociale. Tornando sul tema specifico va detto che alcuni dei pazienti che ci hanno contattato non possono subire interventi di alcun genere, poiché spesso il cancro ha invaso più organi. Sul fronte poi di questa nuova terapia chiururgica» conclude Lezoche «abbiamo iniziato a febbraio. Sul fegato l'applicazione della criochirurgia da risultati eccellenti. Certo non possiamo ancora dire con certezza cosa accadrà di questi pazienti. Di certo gli studi preliminari indicano un allungamento dell'esistenza rispetto ad altri trattamenti terapeutici. Un risultato che di per se è soddisfacente, come del resto è positivo che dai primi esami di risonanza magnetica effettuata sui pazienti operati nei mesi scorsi non risulti la presenza di nuove lesioni neoplastiche. Oltretutto è utilizzabile sia nei tumori resecabili che in quelli dove il bisturi non può arrivare».«Dai dati in nostro possesso» aggiunge il dottor Alessandro Paganini «questo nuovo trattamento certamente meno invasivo della tradizionale chirurgia, consente ai pazienti un allungamento della sopravvivenza. Se ci sono metastasi al fegato non sempre si può escludere lo sviluppo di nuovi focolai, ma intanto il paziente puo' tornare alla propria vita. Finora abbiamo effettuato 12 interventi con questa metodica. Tutti i pazienti hanno avuto un periodo di degenza inferiore rispetto alla norma. Quando poi riusciamo, in presenza di poche metastasi, a effettuare la criochirurgia laparoscopica, allora il risultato è davvero eccellente soprattutto sui tempi di recupero del paziente». Finora gli interventi sono stati effettuati tutti al fegato ad eccezione di uno eseguito su un tumore al rene. Tutti stanno bene. Difficile per il momento ipotizzare l'estensione della criochirurgia verso altri settori, come già accade in altre parti del mondo.

La scoperta del tumore e le terapie per frenarlo

ANCONA — Il paziente sottoposto ieri al lungo intervento di criochirurgia ha 59 anni ed arriva da Vasto. Il suo primo impatto con il tumore è stato nel settembre del 1995 quando venne ricoverato d'urgenza con diagnosi di occlusione intestinale di natura sconosciuta. Allora venne sottoposto a radiografia diretta dell'addome, clisma opaco del colon e colonscopia con prelievo boioptico che rilevarono la presenza di una lesione tumorale localizzata a livello della valvola ileociecale con aspetto maligno. A quel punto i medici decisero di procedere a intervento chirurgico di resezione della lesione e di parte del colon a cui è seguito un ciclo di chemioterapia. Una Tac di controllo eseguita ad aprile scorso, però ha evidenziato la presenza di meta stasi epatiche multiple non suscettibili di resezione chirurgica. Così il paziente è approdato nei giorni scorsi all'Umberto I dove ieri è stato sottoposto all'intervento di crioablazione delle metastasi ematiche.